NewsNewsmartedì 8 maggio 2018
Lectio Magistralis del Prof.Antonio Rava, restauratore e docente presso La Venaria
Lectio Magistralis del Prof.Antonio Rava, restauratore e docente presso La Venaria
Giovedì 17 maggio 'Restauro dell’arte contemporanea, nuove proposte interpretative'

In occasione della "#CONVENTION18 - Gli Stati Generali di Palazzo Spinelli", presso la sala verde di Villa Vittoria, Palazzo dei Congressi, Firenzegiovedì 17 maggio dalle ore 9:30 alle 10:30 si terrà la Lectio Magistralis “Restauro dell’arte contemporanea, nuove proposte interpretative” tenuta dal Prof. Antonio Rava, restauratore di fama internazionale, vice presidente della sede italiana dell’International Institute for Conservation e docente presso il Centro Conservazione Restauro La Venaria

Abstract

La mia testimonianza, relativa al restauro del contemporaneo, è l’accettazione del cambiamento.
Il tema dell’ impermanenza delle opere d’arte contemporanee, che spesso ci attanaglia con le sue problematiche, è legato prima di tutto alla comprensione di come l’opera si pone in relazione con il tempo. Si tratta di capire che cos’è l’opera e come si esprime, per poterne poi attivare la conservazione con un criterio giustificabile.
Affrontare il restauro di queste opere complesse secondo l’approccio tradizionale della conservazione,  che discende dall’usuale comprensione lineare del tempo, non può permettere che contenere periodicamente i processi di alterazione o procedere decisamente ad un rifacimento, uscendo così dai canoni del restauro.
Quando intendiamo la storia di un’opera come una progressione temporale lungo una linea di sequenze successive, l’unica cosa che possiamo fare è tentare il congelamento di una certa facies nella storia dell’opera, ad esempio nel momento particolare in cui entra nel Museo.
Il tentativo di adottare un nuovo concetto di tempo per il restauro dell’arte contemporanea scaturisce dall’esulare da questa percezione aristotelica del tempo che impedisce di accogliere la complessità di opere che hanno un nuovo rapporto entropico con il tempo.
Il tempo percepito dagli esseri umani è infatti più complesso di una successione lineare ed è articolato in diverse forme.
La successione lineare dei momenti non riesce ad abbracciare l’organica continuità del tempo mentre si può interpretare l’arte come un palinsesto stratificato attraverso le sequenze di cambiamenti, piuttosto che volerla riportare ad uno stato originale non più pertinente.
Le conseguenze per la conservazione sono notevoli: si tratta di passare dalla condizione di “gestire il cambiamento” alla conservazione dell’opera nella sua temporalità omogenea. L’intervento così non è più neutrale,  cambia ed interpreta l’opera introducendo intervalli, cesure e interruzioni in ciò che era precedentemente un continuum. Questo nuovo orientamento porta a non imporre di trattenere l’originale a tutti  i costi, guardando al passato con un approccio condizionato dal concetto tradizionale di tempo.
Un esempio illuminante viene dal testo di Plutarco, “Vita di Teseo”, (22-23) dove l’eroe mitologico emerge come un leader nell’Atene classica ed in suo onore si conserva la sua nave intatta come un memoriale per alcune centinaia di anni. “La nave in cui Teseo e i giovani di Atene ritornarono aveva trenta remi e fu conservata dagli ateniesi fino all’epoca di Demetrio Falerio, perché sostituirono le vecchie assi che erano marcite con legno nuovo, cosicché la nave divenne  un esempio vivente fra i filosofi per la questione logica delle cose che invecchiano, da un lato sostenendo alcuni che la nave rimaneva la stessa, e dall’altro affermando che non era più la stessa”.
Plutarco mette in luce il paradosso dell’identità degli oggetti che cambiano che è ancora intensamente dibattuto nell’ontologia contemporanea. Quand’ è che un oggetto in cambiamento diventa qualcos’altro? E quando invece resta se stesso perché pur cambiando conserva la sua identità, anche quando attraversa cambiamenti multipli e reiterati?
Il filosofo francese Jaques Lacan ha sviluppato nei suoi studi la differenza tra “materiale” e “composizionale”, sostenendo che né il materiale costitutivo né la collocazione temporale conferiscono l’identità dell’oggetto ma piuttosto quello che lui chiama un “significante”, che si definisce dalla sua differenza da altri significanti, che tutti insieme costituiscono il significato. Un significante funziona come un sistema simbolico e struttura di differenziazione.
Così in base ai suoi ragionamenti la nave di Teseo potrebbe funzionare da significante perché porta il nome di Teso piuttosto che qualsiasi altro nome. L’identità della nave è quindi basata su una differenza e non sulle sue proprietà intrinseche.
Per esplorare ulteriormente il problema dell’identità dell’opera ci si può basare sull’intuizione ed indagare come gli oggetti mantengano la loro identità trovando un sentiero continuo nello spazio-tempo.
Finché gli oggetti mantengono la loro forma il graduale cambiamento di componenti e costituenti non modifica la loro identità, che dura nella continuità del tempo.
Si può fare riferimento ad esempio al tempio giapponese in legno shintoista che rappresenta un esempio di continuità spazio-temporale. Il tempio di Ise ad esempio è stato smontato e ricostruito con nuovi materiali ogni vent’anni per 1300 anni, confermando perciò che la sua identità non necessariamente dipende dalla conservazione immutata dei materiali componenti.
Ci sono stati momenti in cui le due strutture architettoniche esistevano fianco a fianco, perché il rituale della periodica ricostruzione “shikinen sengū”, presuppone  non il materiale di uno specifico momento ma l’antica tradizione di costruzione, quel “saper fare”  che presuppone la reiterazione perfetta dell’opera.
Questa teoria dell’identità degli oggetti nel tempo è esemplificata da opere d’arte che esistono simultaneamente come oggetti ed entità cariche di valore estetico.
Come per Ise, nelle loro modificazioni multiple trattengono la loro identità di opere d’arte anche se i componenti sono cambiati.

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