"L'arte
di fare" lo stucco in area lombarda tra XVI e XIX secolo
Francesca Albani
Scuola di specializzazione in Restauro
dei monumenti, Politecnico di Milano
2. Stucco: una varietà
di impasti
La definizione del termine stucco
apre una problematica complessa dal momento che, dalla lettura delle fonti,
è emersa la difficoltà di riferire questo termine ad un'unica
tipologia di manufatti.
Vitruvio (2) definiva lo stucco
come un composto a base di calce e polvere di marmo che doveva avere lo
splendore e la lucentezza del marmo (opus albarium) e sconsigliava l'uso
del gesso perché poco durevole.
Successivamente il termine però
indicava, indipendentemente dal tipo di impasto che poteva essere di calce
e polvere di marmo o di calce e gesso con l'aggiunta di additivi, quel
materiale usato per le incrostazioni che dovevano avere una somiglianza
con il marmo o che veniva usato per modellare cornici, paraste, mensole
e cassettoni per soffitti.
Questa tecnica si sviluppa grazie
all'opera di intere famiglie di artisti-stuccatori attive soprattutto nel
nord Italia, che si tramandavano i segreti dei quali rimane qualche traccia
nei manuali tra cui quello del Rondelet che riporta alcune ricette dei
fratelli Albertolli.
Nelle fonti più autorevoli,
come anche in quelle minori (3), si trova il termine usato indifferentemente
per indicare composti realizzati con calce e polvere di marmo, come indicano
gli antichi, e composti a base di gesso o di gesso e calce che potevano
essere usati per la realizzazione di vari manufatti con diverse finiture
tra le quali anche quella a finto marmo.
La varietà di impasti che
si potevano trovare è molto vasta, ma la differenza fondamentale
risiedeva nella scelta del legante che poteva essere solo la calce unita
a polvere di marmo oppure il gesso con acqua e additivi. Frequente comunque
era l'uso di malte da stucco nelle quali erano presenti entrambi
i leganti.
L'utilizzo del tipo di malta dipendeva
dalle caratteristiche dell'opera che doveva essere eseguita. La complessità
della morfologia, la sporgenza rispetto alla superficie muraria e l'ubicazione
esterna o interna influenzavano la scelta dei materiali e della tecnica
costruttiva.
Il tipo di leganti e di additivi
che venivano scelti per la composizione dell'impasto avevano la funzione
di accelerare la presa e nello stesso tempo dovevano ritardare l'indurimento
dell'impasto. La scelta del legante, degli additivi, le quantità
degli ingredienti e le modalità di messa in opera avevano lo scopo
di ottenere un prodotto con determinate caratteristiche di resistenza meccanica
a trazione e a compressione, di compattezza, di resistenza alle condizioni
ambientali e di stabilità volumetrica durante la presa e l'indurimento.
La ricerca empirica mirava quindi ad avere malte modellabili per il tempo
necessario all'esecuzione in grado di garantire prestazioni idonee alla
buona riuscita dell'opera.
La calce poteva venire usata come
unico legante oppure in combinazione con il gesso.
Cadolini (4) classifica due
specie di calci, fondendo la classificazione del Vicat (5) con quelle terminologiche
milanesi. Parla di due tipi di calci quella grassa e quella magra e sottolinea
che nel Milanese erano solite essere chiamate dolci e forti. Veniva infatti
chiamata grassa o dolce quella calce che "estinta all'escire dalla fornace,
cresceva notabilmente di volume", al contrario magra era chiamata quella
che "mostrava meno avidità di acqua, e cresceva assai meno di volume".
Va comunque sottolineato che la calce disponibile sul mercato non poteva
avere sempre le stesse caratteristiche a causa dell'alto numero di variabili
che potevano intervenire durante il processo produttivo. Va sottolineato
che dallo studio delle fonti non è possibile stabilire se vi fossero
sempre criteri qualitativi alla base della domanda e si è propensi
a credere che il prodotto avesse caratteristiche variabili a secondo della
provenienza e della modalità di produzione (6).
Le calci potevano provenire dalla
zona presso Cassano vicino al fiume Adda, da Ternate presso Angera, da
Lovere presso Tirano, da Comabbio vicino Angera, da Maggiora cava Cantalupo
(Novara), da Galbiate fornacetta d'Adda(Lecco), Acquate presso Lecco, Dezzo
in val di Scalve, Chiarina (Bergamo), Ciliveghe (Brescia).
In area lombarda è fortemente
documentato l'uso di calci magnesiache che derivano dalla cottura di calcare
dolomitico e che spesso si trovano sconsigliate dalla trattatistica e manualistica.
Le fonti non specificano esattamente
il tipo di gesso usato per le malte da stucco, ma si crede che si
dovesse trattare di gesso cotto o gesso da stuccatori, ottenuto dalla cottura
di solfato di calcio biidrato (CaSO4 2H2O) a una temperatura compresa tra
i 160°C e 180°C.
Il gesso impiegato nelle fabbriche
della Lombardia è principalmente quello compatto, litoideo, grigio
proveniente dalle gessaje di Limonta e di Nobiallo sulle sponde del lago
di Como. Altri depositi non meno ricchi erano quelli del gesso roseo di
Melide presso Lugano, del gesso fibroso di Rogno sopra a Campione, quello
di Lovere in Valcamonica dalla tessitura compatta e dal colore bianco,
tenero e facilmente macinabile. Altre due cave erano quelle Rigoleno Piacentino
e di Bargone Parmigiano.
I segreti degli stuccatori, per
molti autori tra cui Rondelet (7), risiedevano nella modalità di
cottura del gesso crudo in base alla quale dipendevano le caratteristiche
dell'impasto. Afferma infatti che l'uso è quello che fa conoscere
il grado che conviene ad ogni specie di gesso.
L'importanza di indagare le modalità
di cottura dipendono dal fatto che la temperatura e la durata determinano
l'eliminazione parziale o totale dell'acqua di cristallizzazione contenuta
nel solfato di calcio biidrato dalla quale dipendono le differenti capacità
di assorbimento dell'acqua da parte del gesso e di conseguenza i tempi
di presa e le resistenze meccaniche delle malte.
Si era sempre notato che il gesso
perde le sue proprietà se non viene adoperato al più presto
e quindi le fonti raccomandano di trasportare il gesso nello stato naturale
e di cuocerlo a mano a mano che serviva nel caso in cui le cave fossero
state lontane dal luogo di utilizzo.
Per preparare la malta a base di
gesso è necessario aggiungere al gesso cotto macinato dell'acqua
in modo da fargli riprendere l'acqua di cristallizzazione perduta durante
la cottura. Sulla quantità di acqua necessaria per l'impasto
le fonti sono molto vaghe poiché il più delle volte raccomandano
di affidarsi all'esperienza degli stuccatori che erano in grado di riconoscere
il giusto grado di fluidità dell'impasto e impiegavano maggiore
o minore quantità d'acqua in relazione al tipo di presa più
o meno veloce desiderata in base al tipo di manufatto da realizzare.
L'unico che fornisce un'indicazione
quantativa è il Cantalupi che consiglia per il gesso ben cotto di
impiegare circa 30 litri d'acqua per impastare circa 25 litri di gesso
(8).
Oggi si sa che la quantità
d'acqua necessaria per trasformare il semiidrato in biidrato si aggira
intorno al 25% in massa della polvere, ma questa quantità può
essere aumentata fino al 75%-85% per avere una presa meno rapida ed
un impasto più lavorabile in relazione al tipo di lavoro da compiere
(9). Non è consigliato superare questa percentuale perché
il gesso impastato con troppa acqua si presenta poroso e quindi permeabile,
igroscopico e meno resistente dal punto di vista meccanico perché,
con l'aumentare della percentuale d'acqua d'impasto le resistenze del gesso
a compressione e a trazione diminuiscono (10).
Le fonti non citano l'importanza
della temperatura dell'acqua di impasto che è un elemento fondamentale
in grado di influenzare la velocità di indurimento delle malte.
Questo mostra un evidente scollamento tra la letteratura e la prassi costruttiva
poiché questo aspetto sicuramente doveva avere avuto un certo riscontro
nelle modalità esecutive. E' difficile pensare che non si fosse
notato che al crescere della temperatura dell'acqua la velocità
di indurimento aumentava.
Per quanto riguarda l'aumento di
volume delle malte a base di gesso in fase di indurimento si trova una
citazione del Cantalupi che dice che il gesso cotto "diventa avido d'acqua
e vi si combina, si gonfia (lievita) e poi s'indura (impietra)" (11).
La letteratura tecnica contemporanea
parla di un aumento di volume pari a 1,18 mc. di malta per 1 mc. di gesso
in polvere di cui circa 1% avviene dopo 24 dalla posa in opera e la metà
di questo si riscontra dopo la prima ora.
Numerose informazioni si trovano
nelle fonti in riferimento ai diversi tipi di additivi per i composti a
base di gesso, che rappresentavano le numerose ricerche empiriche atte
a incrementare la lavorabilità dell'impasto sia in fase di indurimento
sia una volta asciutto. Le ricerche dovevano avvenire in modo puntuale
e probabilmente non c'era circolazione delle informazioni dal momento che
erano considerate "segreti del mestiere". Nelle fonti letterarie si trovano
come additivi per lo più sostanze organiche di peso molecolare elevato
capaci di agire come colloidi protettori (colle, caseine, gomma arabica)
o sostanze atte a diminuire la solubilità del gesso (zucchero).
Il loro uso era finalizzato al rallentamento della presa in modo da facilitare
la posa in opera, rimanendo modellabili a lungo prima dell'indurimento.
Molti additivi oltre al ritardo della presa, portavano un sensibile miglioramento
delle resistenze meccaniche dei manufatti.
Un esempio può essere costituito
dalle indicazioni che vengono date riguardo all'aggiunta al gesso, nella
quantità del 2-4 %, di un infuso a base di polvere di pomice, zolfo
da stemperare in un decotto di bucce di olmo, fieno e cime di malva (12).
L'uso di questo infuso doveva probabilmente dipendere dal suo elevato contenuto
di amido, tannino e zucchero in grado di influenzare la lavorabilità
(13). Infatti il tannino, che poteva anche essere ricavato dalla bollitura
delle pigne o frutti d'abete, ha la capacità di rallentare la presa
e di ottenere un sensibile miglioramento delle resistenze meccaniche dei
manufatti, senza alterare le caratteristiche dell'impasto o ostacolare
i successivi trattamenti di finitura.. Lo zucchero invece migliora la durezza,
agisce sul tempo di presa, rendendo maggiormente plastico e adesivo il
composto.
La presenza della malva può
trovare una spiegazione anche per il suo contenuto di mucillaggine circa
al 25-30%, che ha la caratteristica di gonfiarsi a contatto con l'acqua
(14). La presenza della polvere di pomice era probabilmente mutuata dalla
sua capacità di trattenere a lungo l'umidità e quindi di
assicurare un ritardo nell'indurimento della malta per via della sua struttura
spugnosa globulare a cavità chiuse.
Altri tipi di additivi, che avevano
come scopo fondamentale quello di incrementare le resistenze meccaniche,
erano le fibre animali (peli e crini) e le fibre vegetali (paglia triturata).
Venivano unite all'impasto nel caso di malte destinate alla realizzazione
di elementi decorativi di piccolo spessore e svolgevano anche una funzione
di ritardo dell'indurimento dal momento che, assorbendo l'acqua in fase
di impasto, mantenevano il composto umido più a lungo.
Un tipo di malta di gesso, che si
trova sempre nelle fonti, è la scagliola che è un impasto
composto da gesso cotto, soluzione di colla animale, pigmenti e additivi
ed era usato per realizzare superfici che avessero l'apparenza del marmo.
Al gesso veniva unita un'acqua di colla il cui scopo era quello di ritardare
la presa e rendere il composto più adesivo e lavorabile più
a lungo. L'uso di leganti proteici serviva ad inibire la formazione dei
primi cristalliti, a diminuire la solubilità del gesso, a ridurre
la quantità d'acqua necessaria per l'impasto e ad aumentare così
la durezza del prodotto finale. La soluzione era formata da acqua calda
e colla che poteva essere colla di Fiandra, ottenuta dalla bollitura nell'acqua
di pelli, ossa e cartilagini animali, o colla di pesce, ricavata dalla
cotture di vesciche natatorie di pesci.
Quando la malta era asciutta veniva
lucidata con la sabbia e con la pomice ed acqua. Per aver un effetto
lucido brillante si stendeva dell'olio (15). Il risultato finale era un'imitazione
perfetta del marmo, ma risultava essere costoso poiché richiedeva
molta manodopera per avere la lucentezza.
Per le malte a base di calce
si trova consigliato (16) come legante la migliore calce
di colore bianco, cotta a dovere, macinata ripetutamente e passata allo
staccio. La calce stacciata doveva essere lasciata riposare per 4- 5 mesi.
Il principali aggregati-additivi
erano la sabbia e la polvere di marmo, preferibilmente quella di Carrara,
non solo per la sua birifrangenza, ma anche per la sua capacità
di rallentare la carbonatazione e quindi i tempi di presa e di indurimento
dell'impasto, aumentandone la naturale plasticità dell'impasto rendendolo
così più lavorabile.
L'uso degli additivi comunque poteva
anche avere lo scopo di incrementare l'idraulicità della malta.
Una ricetta riportata da Rondelet (17) e ripresa dal Cantalupi (18) nel
suo manuale è composta da 6 parti di calce, 3 di sabbia, 2 di scorie
di ferro, 1 di tegole peste e 1 di tartaro di vino che è un sale
acido che si forma all'interno delle botti.
E' documentato anche l'uso di malte
a base di calce e gesso, che nei manuali ottocenteschi venivano definite
malte bastarde poiché contenevano due leganti diversi. Il loro uso
però non viene specificato e l'unica raccomandazione sempre presente
è quella di non utilizzare il gesso per zone esterne o umide perché
facilmente degradabile. Rondelet (19) consigliava di eseguire l'impasto
della malta di calce e gesso iniziando a unire calce e sabbia fine
con acqua su di una tavoletta che l'operatore doveva tenere in mano. La
malta doveva essere disposta a forma di bacino nel quale aggiungere il
gesso in quantità tale da assorbire tutta l'acqua eccedente in modo
da ottenere una pasta uniforme a utilizzare al momento. Altre indicazioni
descrivono l'uso di bacini o mastelli nei quali veniva aggiunto il gesso
necessario alla malta già preparata oppure che contenevano l'acqua
alla quale aggiungere piano il gesso. L'impasto doveva venire mescolato
fino a quando, preso con la cazzuola, non ne rimaneva attaccato uno strato
di almeno 2 mm (20). Le modalità di lavorazione degli impasti
si basava sul concetto della rapidità di esecuzione poiché,
una volta induriti i composti diventano inutilizzabili.
Analisi svolte nella zona di Como
(21) hanno messo in luce l'utilizzo di questo tipo di malta per lo strato
di corpo degli apparati decorativi e come la percentuale dei due leganti
non sia esattamente determinabile. La percentuale di gesso risulta essere
predominante nella statua, ma diminuisce nelle decorazioni e nelle parti
meno sporgenti.
Note
2. CADOLINI (a cura di), Dictionnaire
di Quatremére de Quincy, Mantova 1842.
3. BOIDI G., Dizionario ragionato
delle voci delle arti del disegno, architettura, pittura, scultura, Torino,
1888, pp.479-480 definisce lo stucco come un composto di materie differenti
in base all'uso, ma generalmente formato da polvere di marmo bianco e calce
estinta, che poteva venire usato per fare intonaci, rivestimenti, ornati
e figure a bassorilievo.
4. CADOLINI (a cura di), Dictionnaire
di Quatremére de Quincy, Mantova 1842.
5. VICAT L.J., Rechérches
experimentales sur les chaux de construction, les béton et les mortiers
ordinaires, Parigi, 1818.
6. FIENI L., Calci lombarde, produzioni
e mercati dal 1641 al 1805, Insegna del Giglio, Firenze, 2000, p. 89.
7. SORESINA B.(a cura di),Trattato
teorico e pratico dell'arte di edificare di Giovanni Rondelet, Mantova,
1833, Libro IV, Murazione, pp.101-102.
8. CANTALUPI A., Istituzioni pratiche
sull'arte di costruire fabbriche civili, Milano, 1862, p. 33.
9. TURCO T., Il gesso, lavorazioni,
trasformazioni, impieghi, Hoepli, Milano, 1990, p.18
10. LUCKEVICH L.M., KUNTZE R.A.,
The relation between water demand and particle size distribution of stucco,
in "Chemistry and technology of gypsum", Technical publication of symposium
Atlanta 14-15 aprile 1983, Ontario , 1984, pp.85-86.
11. CANTALUPI A., cit., pp.166-168
12. CATANEO P., Pietro Cataneo,
Giacomo Barozzi da Vignola. Trattati con l'aggiunta degli scritti di architettura
diÖ, Milano, il Polifilo, 1985, Libro II, Cap. XI, p. 286.
13. ARCOLAO C., Le ricette del restauro,
malte, intonaci, stucchi dal XV al XIX secolo, Marsiglio, Venezia, 1998.
14. TURCO T., cit., p.51.
15. CURIONI G., Lavori generali
di architettura civile, stradale ed idraulica e analisi dei loro prezzi.
Lavoro ad uso degli ingegneri, degli architetti, dei misuratori, degli
intraprenditori e di quanti si trovano applicati alla sorveglianza ed all'esecuzione
di costruzioni civili, stradali ed idrauliche, Negro editore, Torino
1873, p. 486.
16. CANTALUPI A.,cit., nota 2 p.274.
17. RONDELET J., Trattato teorico
pratico dell'arte di edificare, Mantova, F.lli Negretti, 1834, Libro IV,
Murazione, pp. 101-102.
18. CANTALUPI A., cit., pp. 274-275.
19. RONDELET J., cit., p.96.
20. CANTALUPI A., cit. pp. 368-370.
21. NATALI C., LORENZINI G., Analisi
e progetti per l'oratorio Imbonati di Cavallasca, in "Arkos" 1/2000.
Index
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