Stucchi
e cementi decorativi nelle architetture torinesi tra Ottocento e Novecento
By: Caterina MELE
Dipartimento dei Sistemi Edilizi
e Territoriali, Facoltà di Ingegneria, Politecnico di Torino
Il presente saggio, già edito
in "Lo Stucco. Cultura, tecnologia, conoscenza", Atti del Convegno di Studi,
Bressanone 10-13 Luglio 2001, Venezia, Arcadia Ricerche 2001, è
stato gentilmente reso disponibile per il sito plasterarc.net dall'autore,
su richiesta del comitato scientifico.
Nei decenni a cavallo tra Otto e
Novecento Torino visse un periodo di intensa trasformazione. Privata negli
anni precedenti del ruolo di capitale del Regno d'Italia, la città
aveva dovuto faticosamente ricostruirsi un'identità nel contesto
della vita nazionale. L'ultimo ventennio dell'800 ed i primi anni del '900
videro líaffermazione di Torino non solo dal punto di vista industriale
e produttivo ma anche dal punto di vista artistico e culturale, con l'emergente
industria del cinema, della moda, con il fiorire delle arti letterarie
e figurative e con il successo internazionale delle Esposizioni delle arti
e dell'industria.
Il clima positivista di fiducia
nel progresso ed i nuovi mezzi espressivi, dovuti alla sperimentazione
di nuovi materiali e allíinnovazione tecnica hanno lasciato notevoli testimonianza
nelle architetture di quegli anni (1).
Torino è stata a tutti gli
effetti un riconosciuto polo di livello europeo dellíEclettismo architettonico
e dello stile Liberty. Alcuni tra i suoi artefici principali furono autori
di chiara fama come Alessandro Antonelli, Carlo Promis, Carlo Ceppi, Alfredo
D'Andrade, Riccardo Brayda, e più tardi Raimondo D'Aronco, Annibale
Rigotti, Pietro Fenoglio e molti altri ancora.
Il clima effervescente di quel periodo
è testimoniato oltre che dalla alta qualità della produzione
edilizia, anche dal continuo scambio culturale con le altre realtà
internazionali (come ci rivelano le riviste di architettura e la manualistica
del tempo, attenta anche agli aspetti chimici e produttivi dei materiali
della costruzione, oltre al successo crescente delle Esposizioni díarte
e dellíindustria,), come si coglie ad esempio dalla Prima Esposizione Italiana
di architettura del 1890, cui parteciparono città come Londra, Berlino,
Varsavia, Monaco, Lipsia, Vienna e Barcellona, oppure dall'Esposizione
Internazionale delle Arti Decorative del 1902 che celebrò líaffermazione
dello stile Liberty in Italia.
La ricchezza decorativa e cromatica
delle architetture eclettiche e dell'Art Nouveau torinese, furono rese
possibili grazie all'uso e all'accostamento innovativo di materiali tradizionali
come il laterizio, il ferro battuto, il vetro, e grazie alla sperimentazione
tecnica di nuovi impasti plastici di differente composizione, come ad esempio
la pietra artificiale, per la realizzazione degli elementi decorativi di
facciata.
Proprio la pietra artificiale, rappresenta
un'innovazione tecnologica nel panorama dei materiali plastici per la finitura
delle superfici o per la realizzazione degli elementi decorativi della
costruzione.
La comparsa della pietra artificiale
si colloca circa alla metà del XIX secolo, ed è strettamente
collegata alla diffusione del cemento Portland. Il primo a parlare di pierre
reconstituè a proposito di un materiale ottenuto da una miscela
di pietra tenera frantumata e di calce idraulica, costipata in stampi,
è il francese M.Bailly nel 1875 di fronte allíAssociazione francese
per lo Sviluppo delle Scienze; in Torino le prime sporadiche realizzazioni
di elementi in pietra artificiale risalgono al 1860 circa. L'affermazione
ed il collaudo di questo nuovo materiale avverrà tuttavia nella
realizzazione delle costruzioni del Borgo Medievale al Valentino per líEsposizione
Generale Italiana del 1884.
Come lo stucco (per lo più
un impasto di calce, gesso, pigmenti e polvere di pietra calcarea) veniva
utilizzato fin dai tempi dellíarchitettura romana, per imitare il marmo,
così la "pietra artificiale" nasce sul finire del secolo scorso
con l'intento di imitare la pietra naturale, ma a differenza dei materiali
della tradizione imita non solo le caratteristiche esteriori del materiale
naturale (grana, tessitura, colore) ma anche quelle intrinseche del comportamento.
Come testimoniano i numerosissimi brevetti dei differenti tipi di impasti
immessi sul mercato in quegli anni, gli inventori facevano a gara nel tentativo
di migliorarne le caratteristiche "prestazionali".
Dalla lettura di alcuni brevetti
si evince che per "pietra artificiale" (2) si intendono sia gli impasti
a base di cemento che un elevato numero di altri impasti le cui componenti
potevano comprendere additivi organici come il vischio o la destrina, oppure
le scorie díaltoforno. Il più diffuso tipo di pietra artificiale
era però quello costituito da una miscela a base di cemento o calce
idraulica, di sabbia, ghiaia (di differente granulometria) e/o polvere
di pietra impastata con acqua e lasciata indurire per effetto dellíidratazione
dei materiali idraulici. Molti brevetti erano rivolti a migliorare alcune
caratteristiche del materiale, per esempio líimpermeabilità, in
questo caso si aggiungeva dellíolio di lino nellíimpasto, o si ricopriva
lo stampo con uno strato di gesso ed olio siccativo; oppure si cercava
di rendere il materiale leggero inserendo nellíimpasto aggregati idonei
come la segatura di legno del brevetto Vogler di Budapest brevettato anche
in Italia (3).
Le riviste del tempo come "Il Cemento",
"Il Monitore tecnico", "Il giornale del Genio Civile" rappresentano una
preziosa fonte di prima mano sulla composizione, produzione, trattamento
dei diversi tipi di pietra artificiale e cementi decorativi, e così
pure i manuali.
Nel manuale torinese degli impresari
edili G. Musso e G. Copperi ad esempio, le pietre artificiali, i getti
e le lavorazioni in stucco sono trattati nel grande capitolo delle opere
di finitura e a proposito degli impasti cementizi ad imitazione della pietra
non ne sfuggono le potenzialità, sia per quanto riguarda l'aspetto
"prestazionale", sia per quanto riguarda líeconomicità di costruzione,
sia per quanto riguarda le possibilità "linguistico-decorative"
(4).
Oltre agli impasti brevettati industrialmente
vi erano sul mercato quelli realizzati con ricette messe a punto nei diversi
laboratori artigiani e quindi essenzialmente frutto della pratica di bottega.
Questo prezioso patrimonio di conoscenze, ad eccezione di alcuni rari casi
(5), è purtroppo andato perduto con la scomparsa degli stessi laboratori.
Nei laboratori artigiani e nei cantieri
della Torino dellíEclettismo e dell'Art Nouveau operavano meastranze di
altissimo livello, formatesi in istituzioni di arti e mestieri, come le
scuole tecniche operaie San Carlo (6), che avevano punti di riferimento
culturale e tecnico nei grandi maestri della cultura artistica coeva, come
il Divisionista G. Previati o i maestri della Regia Accademia Albertina,
oppure nei progettisti e negli impresari edili come A. Reycend, G. Bellia,
C. Florio o il plasticatore Pietro Quadri. In queste scuole si insegnavano
agli allievi nozioni di ornamentazione ed architettura, corsi di opere
decorative in stucco, di cemento e pietra artificiale, e alle lezioni teoriche
si alternavano le esercitazioni pratiche.
Il maggior problema conservativo
che gli elementi realizzati con impasti di cemento decorativo, pietra artificiale,
o stucco pongono oggi agli operatori del settore è di solito legato
al rispetto della natura del materiale stesso. Da un indagine a tappeto
su più campioni di edifici (7) si evince infatti che la maggior
parte degli incovenienti ricorrenti ai danni del materiale derivano da
trattamenti superficiali sbagliati come ad esempio, nel caso della pietra
artificiale, la pitturazione del materiale stesso. Tale operazione oltre
ad alterare i valori cromatici della materia, concorre di solito ad innescare
fenomeni di degrado anche di notevole entità come il distacco di
intere parti.
Nel caso della pietra artificiale
qualora essa non contenga al suo interno ferri di armatura superficiali
gli incovenienti che si presentano sono di modestistima entità,
come è bene testimoniato dagli elementi decorativi degli edifici
del Borgo Medievale al Valentino che dopo circa 130 di vita si presentano
quasi inalterati.
Il compito che spetta oggi a coloro
che si occupano del costruito è quindi di proteggere da incolte
operazioni di riparazione o manutenzione queste straordinarie testimonianze
dellíarchitettura del secolo scorso, provvedendo a raccogliere e trasmettere
alle diverse categorie di operatori che intervengono sullíesistente, le
conoscenze necessarie a salvaguardarle.
NOTE
1. Il presente contributo si colloca
allíinterno di un filone di ricerche coordinato da P. Scarzella del
Dipartimento di Ingegneria dei Sistemi Edilizi e Territoriali del Politecnico
di Torino sui materiali della costruzione degli edifici storici i cui primi
esiti sono stati presentati lo scorso anno durante il Seminario "Malte
a vista con sabbie locali nella conservazione degli edifici storici". Per
una trattazione più ampia del tema qui delineato vedi C. MELE, Cementi
Decorativi e Pietre artificiali, in A.A.V.V., Malte a vista con sabbie
locali nella conservazione degli edifici storici, parte I, Interpretazione
dei valori ed individuazione dei problemi, Torino 2000, cap.1.1.5.
2. Cfr. "Le pietre artificiali nellíarchitettura"
ne Il Cemento, n.1, anno V, 1908, pag.18.
3. Cfr. "Un nuovo processo di fabbricazione
di pietre artificiali", in Líedilizia Moderna, anno IX, fasc.1, gennaio
1900, pag.6
4. Cfr. G. MUSSO, G. COPPERI, Particolari
di costruzioni murali e finimenti di fabbrica, Torino 1888, pp.64-68
5. Come ad esempio la raccolta di
ricette del Laboratorio Luisoni, costituita da oltre seicento ricette analizzata
nella tesi di dottorato L.LUCCHESI, Pietre artificiali, malte di cemento
e calcestruzzi nellíarchitettura del primo Novecento, Tesi di Dottorato,
1995, Facoltà di Architettura di Genova.
6. Cfr. G. G. SERRA (a cura di ),
Le scuole tecniche operaie San Carlo in Torino, Torino 1888.
7. Cfr. C. MELE, op. cit., cap.1.1.5.
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