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Firenze Capitale: le caserme e gli altri presidi militari
Nel momento in cui Firenze fu individuata quale nuova Capitale d'Italia, vi erano ovviamente già in città più zone segnate dall'acquartieramento di truppe, necessarie sia alla difesa del territorio da attacchi esterni, sia al controllo dell'ordine pubblico. In particolare Firenze aveva due formidabili architetture bastionate, la fortezza di San Giovanni Battista (nota come fortezza da Basso) e quella di Belvedere, che costituivano lungo il perimetro delle mura due emergenze fondamentali, almeno fino agli anni qui presi in considerazione. Attorno al 1859, infatti, il forte di Belvedere aveva cessato di essere un'opera di fortificazione ed era stato in parte reso accessibile ai cittadini operando varie modifiche alla struttura. Lo stesso era avvenuto poco dopo anche alla fortezza da Basso che, tra il 1862 e il 1867, aveva visto lo sterramento di parte del recinto bastionato e il riempimento dei fossati di perimetro. In piena funzione erano invece due strutture che testimoniavano dell'impegno del Granducato in merito alla questione militare e che si posizionavano a poca distanza dalla fortezza da Basso: la caserma di Barbano (identificabile con l'attuale intitolata al generale Fadini) e la Cavallerizza coperta (ora caserma Cesare Battisti), ambedue sorte per reparti di Cavalleria in concomitanza con gli interventi di urbanizzazione del nuovo quartiere di Barbano (1844). Per quanto riguarda la caserma di Barbano, l'erezione del primitivo edificio risaliva al 1848 circa, su progetto dell'architetto Domenico Giraldi, mentre la Cavallerizza coperta si datava al 1852, su progetto del tenente colonnello Angiolo Caprilli, da considerarsi l'architetto militare di maggior prestigio in Toscana. Il sistema militare cittadino si ramificava poi in una molteplicità di luoghi per lo più individuati all'interno di antiche strutture conventuali adattate alle nuove necessità, come accadeva con le caserme Ognissanti, del Maglio, di Sant'Apollonia, di San Marco, di Santo Spirito e delle Poverine (poi De Laugier), quest'ultima già collegio per i figli dei militari ma ristrutturata nel 1865 ad uso di caserma ad opera dell'architetto piemontese Giuseppe Castellazzi. E ancora vi erano i molti luoghi al servizio della vita dei vari insediamenti, così il Magazzino dell'Abbondanza adattato nel 1860 a panificio militare e l'ospedale militare di Sant'Agata ubicato in prossimità della porta di San Gallo, oggetto di molti lavori di adeguamento sempre attorno al 1860. E questo senza considerare le altre strutture poste al di fuori della città non solo per motivi di ordine pratico (si pensi all'ospedale di convalescenza di Monte Oliveto) ma anche di sicurezza (così per i magazzini delle polveri che, se ubicati in città, avrebbero potuto danneggiarla pesantemente nell'eventualità di una esplosione). Nonostante tale complessa ramificazione, il nuovo ruolo assunto dalla città in quanto Capitale e soprattutto la situazione venutasi a determinare con la scelta di abbattere l'ultima cerchia di mura che comunque rappresentava un'opera militare ancora in parte funzionale, avevano comportato la necessità di rivedere buona parte del sistema, con una specifica attenzione al problema dell'ubicazione sia di un Campo di Marte sia di una nuova e più grande caserma di Cavalleria. Tali temi erano stati affrontati nel piano di ingrandimento di Firenze redatto da Giuseppe Poggi. Scartata una prima ipotesi tesa ad ampliare la caserma di Cavalleria di Barbano avanzata dal Genio militare (non accettabile in quanto in evidente contrasto con il progetto di abbattimento delle mura e la conseguente realizzazione dei viali) il progetto di massima redatto da Giuseppe Poggi ai primi del 1865 propose quindi di spostare il Campo di Marte dall'altro lato dell'Arno, di fronte al piazzale delle Cascine. Dal punto di vista militare, tuttavia, la scelta appariva in tutta la sua ingenuità: il luogo infatti non consentiva un diretto collegamento con il nuovo anello dei viali, fondamentali per successivi spostamenti e schieramenti delle truppe in ragione delle necessità e soprattutto in relazione ad interventi di ordine pubblico. Il ponte sull'Arno, poi, avrebbe rappresentato in quest'ottica un elemento estremamente vulnerabile, in quanto facilmente ostruibile o danneggiabile in caso di rivolta. Scartata questa prima ipotesi (ovviamente inaccettabile per il Genio militare) si inserì nel piano di ingrandimento una seconda ipotesi, anche se più costosa in ragione dei maggiori espropri da eseguire e della lunghezza dei viali da tracciare. La zona, indicata al Comune nel gennaio 1866, era quella tra l'Affrico, la porta alla Croce e la chiesa di San Gervasio, che ancora noi oggi chiamiamo Campo di Marte in ragione di questa originaria destinazione a piazza d'Armi, con adiacente caserma di Cavalleria. Anche in questo caso le cose non andarono tuttavia come previsto: per quanto approvata dal Consiglio del Comune la variante al Piano Regolatore nel marzo dello stesso 1866, seguirono lunghe trattative con la Società delle vie ferrate (parallelamente alle questioni delle quali qui ci occupiamo si sviluppava infatti la discussione sui nuovi tracciati ferroviari), ripetuti incontri con il colonnello Castellazzi direttore del Genio, e ancora stime per gli espropri, progetti di convenzioni a stabilire la distribuzione degli oneri a carico del Comune e a carico del Governo, discussioni circa le proprietà definitive delle superfici, e via dicendo. Pubblicato il decreto di trasferimento della Capitale da Firenze a Roma, il Ministero della Guerra comunicava con un dispaccio del 14 marzo 1871 come tutta la questione dovesse essere rivista, e come in particolare - cambiato repentinamente lo scenario complessivo - non trovasse più ragione costruire una nuova caserma di Cavalleria. La questione, sospesa per dieci anni, sarebbe stata ripresa nel 1881. Nell'adunanza del Consiglio Comunale del 12 Aprile di quell'anno si sarebbero infatti assunte le decisioni all'origine della nascita della caserma del lungarno Pecori Giraldi. Dopo la relazione fatta all'auditorio dall'assessore Barbolani Da Montauto (a ricordare la parallela destinazione ad uso dell'Istituto di Studi Superiori dei locali delle scuderie di San Marco e "i vantaggi notevolissimi che sarebbero derivati dalla costruzione di un edifizio così importante, cioè un maggior lavoro pei nostri operai, la residenza a Firenze di un maggior numero di truppe e di cavalli, e il conseguenziale aumento dei prodotti del dazio-consumo"), il consiglio deliberava all'unanimità di cedere gratuitamente all'Amministrazione militare, come da sua richiesta, "l'area di forma quasi triangolare compresa tra il Lung'Arno della Zecca Vecchia e la Piazza Beccaria". A fronte della cessione si precisavano alcune limitate prescrizioni che esoneravano il Comune da qualsiasi altro aggravio e spesa, che imponevano la conservazione sul viale dei prolungamenti sia di via Ghibellina sia di via dell'Agnolo 22, e che il fabbricato, nel caso in cui fosse giunto al limitare di piazza Cesare Beccaria, avesse avuto da quel lato "un prospetto ed una decorazione confacenti all'importanza di tale località". ...chiudi approfondimento
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