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Scheda Palazzo Roffia Torna ai risultati della ricerca
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Quartiere Santa Croce / San Giovanni
Ubicazione Borgo Pinti 13
Denominazione Palazzo Roffia
Altre denominazioni Palazzo Cherici, palazzo Libri, palazzo Magherini Graziani, palazzo di Colloredo
Affacci .
Proprietà Monaldi Baldelli, Roffia, Morelli, Cherici, Graziani Libri, Magherini Graziani, Mels di Colloredo.
Architetti - Ingegneri Magni Michele, Foggini Giovanni Battista, Roffia Antonio, Barducci Orlando, Grazzini Pilade.
Pittori - Scultori - Decoratori Gherardini Alessandro, Dandini Pietro, Botti Rinaldo, Ferretti Giovanni Domenico, Giordano Luca, Giarré Pietro, Stagi Niccolò, Meucci Vincenzo, Portogalli Bartolomeo, Rapisardi Alfio.
Uomini illustri Nessun dato rilevato.
Note storiche Posto dinanzi allo sbocco di via di Mezzo, che consente di averne una visione a distanza altrimenti difficile per le limitate dimensioni della via, l'edificio, già casa dei Monaldi Baldelli, fu acquistato nel 1646 dalla famiglia Roffia di San Miniato al Tedesco. Al 1665 si datano i primi lavori di ampliamento localizzati sul retro, a ridurre significativamente l'area destinata ad orto con nuovi locali sviluppati su di un loggiato, quindi nel 1672 l'acquisto di una ulteriore casa limitrofa. Il conferimento di un nuovo e unitario fronte risale invece al 1696, promosso da Antonio Roffia e diretto da Michele Magni, discepolo di Giovanni Battista Foggini (al quale la letteratura per lungo tempo ha direttamente ricondotto l'impresa), coadiuvato dallo stesso Antonio Roffia, dilettante d'architettura. Passato successivamente ai Morelli e da questi Cherici (1813) e ai Graziani Libri, poi alla fine dell'Ottocento ai Magherini Graziani, è pervenuto successivamente ai Mels di Colloredo, che ancora ne hanno la proprietà. Nell'insieme il prospetto mostra il perdurare di modelli tradizionali cinquecenteschi, non fosse per il balcone in ferro battuto che appare, a questa altezza cronologica, alquanto inconsueto nel panorama dell'architettura fiorentina (aspetto questo sul quale la letteratura consultata torna insistentemente), pur assecondando un gusto che al tempo andava imponendosi in molte città italiane ma che non aveva trovato particolare diffusione in ambito locale. La facciata, articolata su tre alti piani per sette assi, è sicuramente elegante, soprattutto nel disegno delle aperture e nella soluzione adottata per segnare con portone, balcone e finestrone l'asse centrale. Almeno questo il giudizio secondo la nostra sensibilità, visto che, posto in una via segnata da nobili edifici cinquecenteschi di misurato disegno, questo, tardo seicentesco, appariva a Federico Fantozzi (1842) testimonianza tangibile "dello stato di decadenza nel quale trovavasi l'arte in quell'epoca". "L'orditura delle aperture è definita, sulla superficie parietale intonacata, da fasce orizzontali su cui si dispongono le mensole marcapiano delle finestre del secondo e terzo piano e dall'ampia fascia sottotetto disegnata a imitazione di un fregio riccamente decorata negli elementi lapidei delle mensole e delle metope. Il primo ordine di aperture presenta finestre inginocchiate con frontone spezzato entro cui si dispone il motivo decorativo della conchiglia" (Emilia Marcori). Sulla facciata, all'interno del timpano spezzato della porta del balcone, è uno scudo con l'arme della famiglia Roffia (di rosso, alla banda d'oro) che Leonardo Ginori Lisci diceva modificato nei suoi anni e che, dopo essere stato per lungo tempo praticamente illeggibile, ha visto in occasione del recente restauro sia ampie integrazioni sia la restituzione dei suoi smalti. Si noti anche il portone principale, già segnalata dallo stesso Ginori Lisci come coevo al palazzo, con formelle e chiodatura a disegno. A un intervento tra Otto e Novecento si può presumere risalgano varie integrazioni in pietra artificiale agli elementi decorativi (e forse anche gli inserti collocati tra le mensole del sotto tetto). Di un cantiere datato al 1924, sempre con "restauri in pietra artificiale alla facciata", fa esplicita menzione Mazzino Fossi (1968). L'intera proprietà è stata poi oggetto di lavori, con il totale rifacimento degli intonaci del prospetto, nel 1965, per le cure dell'ingegner Orlando Barducci e dell'architetto Pilade Grazzini (intervento premiato dalla Fondazione Giulio Marchi nel 1967). Al mediocre stato di conservazione della facciata (con ampie cadute di intonaco) già lamentato nella precedente redazione di questa scheda (2012) al quale è seguita una segnalazione nel 2014 per il cornicione pericolante, si è fatto fronte con un ulteriore cantiere di ripristino nel 2015, contestualmente al quale sono stati posti una serie di pilastrini in ghisa a protezione del terreno dagli urti provocati dagli automezzi in manovra. Negli interni la letteratura segnala vari affreschi riconducibili a un primo cantiere (1703-1704) condotto da Alessandro Gherardini, Piero Dandini e Rinaldo Botti, e a un secondo cantiere aperto tra il 1745 e il 1760, con opere di Giovanni Domenico Ferretti (sua la Galleria con Storie di Ercole e il suo trionfo, già tradizionalmente attribuite a Luca Giordano), Pietro Giarré, Niccolò Stagi e Vincenzo Meucci, con stucchi di Bartolomeo Portogalli. Si documentano anche interventi dell'artista contemporaneo Alfio Rapisardi. Al piano nobile alcuni ambienti, compresa la Galleria di Gian Domenico Ferretti, sono adibiti a templi massonici della Gran Loggia d'Italia. Altri spazi accolgono la Residenza d'epoca Graziani. Il palazzo appare nell'elenco redatto nel 1901 dalla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, quale edificio monumentale da considerare patrimonio artistico nazionale.
Bibliografia
dettaglio
Del Bruno 1757, p. 47; Cambiagi 1765, p. 73; Cambiagi 1771, p. 74; Cambiagi 1781, p. 69; Fantozzi 1842, p. 371, n. 121; Fantozzi 1843, p. 173, n. 413; Firenze 1850, p. 372; Bacciotti 1879-1886, III, 1886, p. 443; Elenco 1902, p. 254; Limburger 1910, nn. 183, 395; Limburger-Fossi 1968, n. 395; Mosco 1974, p. 115; Ginori Lisci 1972, I, pp. 499-502; Bargellini-Guarnieri 1977-1978, III, 1978, p. 115; Pietrogrande 1994, p. 56; Giovanni Straffi in Palazzi 2001, pp. 108-111; Adsi 2003, pp. 15-16; Firenze 2005, p. 421; Emilia Marcori in Atlante del Barocco 2007, p. 422, n. 135; Paolini 2008, pp. 160-161, n. 247; Paolini 2009, pp. 231-232, n. 331.
Approfondimenti Angela Arcuri, Maria Cecilia Fabbri, Palazzo Roffia. Una dimora filosofale a Firenze, Firenze, Maurizio Mannelli Editore, 2001; Patrizia Maccioni, Palazzo Roffia, in Fasto privato: la decorazione murale in palazzi e ville di famiglie fiorentine, I, a cura di Mina Gregori e Mara Visonà, Firenze, Edifir per l'Ente Cassa di Risparmio di Firenze, 2012, pp. 42-48, tavv. XXVIII-XXX; Carlotta Lenzi Iacomelli, Vincenzo Meucci (1694-1766), Firenze, Edifir 2014, pp. 201-202; Angiolo Pucci, I giardini di Firenze, IV, Giardini e orti privati della città, a cura di Mario Bencivenni e Massimo de Vico Fallani, Firenze, Leo S. Olschki, 2017, p. 157; Claudio Paolini in Claudio Paolini, Hosea Scelza, Borgo Pinti: una strada fiorentina e la sua chiesa, Firenze, Polistampa, 2018, pp. 38-44, n. 6.
Documentazione fotografica Fototeca dei Musei Civici Fiorentini, Firenze: 6368 (veduta della facciata del palazzo ripresa da via di Mezzo, 1920 ca.). Archivio fotografico SBAP, Firenze: 30651, 30652, 30653, 30654 (vedute d'insieme del prospetto in forte scorcio, 1966); 30655, 30656 (vedute della porzione centrale del prospetto riprese da via di Mezzo, 1966).
Risorse in rete Sull'edificio sono vari file multimediali reperibili su rete telematica, a partire dalla voce Palazzo Roffia su Wikipedia (con testi concessi dal presente sito in GFDL).
Codice SBAPSAE FI0245
ID univoco regionale 90480170312
Data creazione 15/08/2008
Data ultima modifica 09/04/2021
Data ultimo sopralluogo 08/01/2020
Autore della scheda Claudio Paolini.
Tags balcone, stemma familiare.
Localizzazione
Contatti note tecniche e legali
 
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